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latino nell'italiano A BCD EFGH I LMN OPQ RST UV Nihil sub sole novum. (Ecclesiaste I, 10).
Lapsus calami.
Errore di penna. - Locuzione latina che si usa per indicare quegli errori involontari che consistono nello scrivere una lettera invece di un'altra, un nome invece di un altro. Rientrano nei lapsus calami anche gli errori di stampa, alcuni dei quali sono capolavori d'umorismo involontario. Un esempio: cambiando una vocale, "la signora di molti meriti" diventa la "signora di molti mariti". L'espressione latina è spesso usata per giustificare un errore, attribuendolo a distrazione: è stato un lapsus.
Lapsus linguae.
Errore di lingua. - Errore involontario che si fa parlando. Dice un adagio medievale melius est pede quam labi lingua, meglio scivolare con un piede che con la lingua. Secondo Freud e la psicanalisi, tali errori sarebbero spesso dovuti a motivi inconsci che rivelano un impulso in contrasto con ciò che si sarebbe voluto dire. Anche senza implicazioni psicanalitiche, i lapsus sono sempre divertenti. Attori e annunciatori radiotelevisivi li chiamano papere.
Laudator temporis acti. (Orazio, Ars poet., 173).
Lodatore del tempo passato. - Orazio attribuisce questa qualità ai vecchi , considerandola, insieme con altre, uno dei tanti malanni da cui è afflitta l'età senile; in realtà l'espressione completa è laudator temporis acti se puero, lodatore del tempo passato , quando egli era fanciullo. E' usata spesso con riferimento sia a chi mostra di non voler accettare le novità, sia ai nostalgici di passati regimi, sia più genericamente a quelle persone anziane che parlano del loro tempo nel quale le cose andavano meglio che nel presente.
Lectio brevis.
Lettura, lezione breve. - Locuzione latina usata con due significati: nella liturgia delle ore, breve lettura della Sacra Scrittura che si fa nelle ore canoniche; nelle scuole, lezione che, per qualche motivo, duri meno delle lezioni ordinarie. In particolare, l'orario ridotto che si fa nelle scuole, soprattutto nel giorno che precede il lungo periodo delle vacanze natalizie.
Lippis et tonsoribus. (Orazio, Sat., I, 7).
Ai cisposi e ai barbieri. - Espressione proverbiale derivata da un verso di Orazio in cui il poeta, per significare che un fatto è noto a tutti, dice: Omnibus et lippis notum et tonsoribus esse, noto a tutti, cisposi e barbieri, categorie queste che presso i Romani avevano fama di propagatori di notizie per eccellenza. La frase, preceduta da noto, conosciuto o dal latino notum, è ripetuta scherzosamente con lo stesso senso.
Littera enim occidit, spiritus autem vivificat. (s.Paolo, 2^ lett. ai Corinzi 3, 6).
Infatti la lettera uccide, lo spirito invece vivifica. - Parole di san Paolo con le quali egli intendeva affermare la superiorità del messaggio di Cristo (fondato sullo spirito, che è vita) rispetto alla legge giudaica (che è lettera scritta). La frase è talora ripetuta per contrapporre all'interpretazione letterale di un testo, l'interpretazione del pensiero, dell'intenzione di chi scrive e dei fini a cui mira.
Longa manus.
La lunga mano. - Espressione con cui si indica la persona che opera, in maniera non sempre limpida e lecita, a favore di un'altra più potente, nascosta nell'ombra. Negli affari, longa manus è il prestanome, che finge di contrattare per sé, mentre agisce per conto di un altro.
Lugete Veneres Cupidinesque. (Catullo, 3).
Piangete Veneri ed Amori. - Così canta l'elegante Catullo in morte del passero della sua amante. Questo verso si adatta benissimo a chi piange o si duole per un nonnulla.
Lupus in fabula.
Il lupo nel discorso. - Locuzione latina attestata da Terenzio (Adelphoe IV, I,21). Viene comunemente tradotta "il lupo nella favola" con riferimento alle favole esopiane, nelle quali il lupo appare per lo più all'improvviso. Ma poiché fabula in latino vuol dire originariamente "favella", lupus in fabula dovrebbe essere tradotto "il lupo nella favella, nel discorso". La locuzione latina viene usata con allusione al fatto che, quando appare improvvisamente la persona di cui stiamo parlando, tutti ammutoliscono, come nelle fiabe allorquando arriva il lupo, animale che incute paura a tutti. La frase però ha anche un significato scherzoso e si usa per dire stiamo proprio parlando di te.
Magna carta.
Grande carta. - La magna carta libertatum (grande carta delle libertà), concessa nel 1215 dal re d'Inghilterra Giovanni Senzaterra ai baroni, contiene in una sola pergamena di grande formato il riconoscimento dei rispettivi diritti della corona inglese e dell'aristocrazia. Essa è considerata il prototipo degli atti di garanzia delle libertà individuali.
Magna pars. (Virgilio, Aen., II, 5-6).
Gran parte. - L'espressione deriva dalle parole di Enea che dà inizio al racconto della caduta di Troia: quaeque ipse miserrima vidi Et quorum pars magna fui, e le quali cose tristissime io stesso vidi e delle quali fui gran parte. La locuzione magna pars si applica a chi è parte importante in un'impresa, in un fatto.
Maiora premunt.
Urgono cose di maggiore importanza. - La locuzione latina invita a tralasciare le cose di minore importanza per dedicarsi a quelle più importanti ed urgenti. In Lucano (Phars. I, 674-5) troviamo analoga espressione, ma con altro senso: Terruerant satis haec pavidam praesagia plebem; Sed maiora premunt, questi presagi avevano già atterrito la pavida plebe; ma altri ancor più gravi la opprimono.
Mala avis.
Uccello cattivo. - L'espressione viene talora usata con riferimento a persona cui si attribuiscono, anche solo scherzosamente, influssi malefici.
Mala tempora currunt.
Corron tempi cattivi. - E' la rituale imprecazione dei nostalgici del passato contro la tristezza del tempo presente o le difficoltà di determinate circostanze. E' quasi una regola che una generazione denigri se stessa per rimpiangere le precedenti, salvo poi essere rimpianta dalle generazioni successive.
Male parta male dilabuntur. (Nevio in Cicerone, Philipp. II, 27, 65).
Le cose male acquistate han mala fine. - Frase proverbiale latina cui corrisponde il proverbio italiano La farina del diavolo va tutta in crusca.
Manu militari.
Con mano militare. - La locuzione latina si usa a proposito di azioni compiute con la forza delle armi, con l'intervento dell'esercito: la sommossa fu sedata manu militari.
Mare magnum.
Mare grande. - Espressione con cui gli antichi designavano il mare che secondo le loro concezioni geografiche circondava tutto intorno la terra abitata, detto anche Oceano e Atlantico. Oggi, l'espressione viene usata per indicare una tumultuosa quantità di cose, di gente, un ambiente o una situazione di caos, di confusione: c'è da perdersi, in questo mare magnum di pratiche burocratiche!.
Mare Nostrum.
Mare Nostro. - Così gli antichi Romani chiamavano il Mediterraneo, essendone padroni di tutte le sponde. L'espressione Mare nostrum fu ripresa durante la campagna di Libia e dal fascismo, ma con scarsa fortuna.
Margaritas ante porcos. (Matteo, VII, 6).
Perle dinanzi ai porci. - Frase tratta da un'esortazione di Gesù: nolite dare sanctum canibus, neque mittatis margaritas vestras ante porcos, non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle ai porci. L'esressione è ripresa talvolta come invito a non mescolare il sacro con il profano, le cose nobili con le volgari.
Mater dolorosa.
Madre addolorata. - Verso iniziale della sequenza Stabat mater dolorosa Iuxta crucem lacrimosa, Dum pendebat filius, stava la madre dolorosa lacrimando presso la croce, mentre pendeva il figlio, attribuita (quasi con certezza) a Jacopone da Todi, e ispirata alla scena della passione di Gesù. La Mater dolorosa, cioè la Madonna Addolorata ai piedi della croce, ha ispirato molti pittori che hanno elevato la Vergine dolente a simbolo universale dell'amore materno. In senso figurato, la locuzione latina è usata per indicare donna dall'aspetto triste e in gramaglia, specialmente se colpita nel suo affetto materno.
Mea culpa
Per mia colpa. - Frase contenuta nel Confiteor, con la quale il fedele riconosce di aver peccato in pensiero, parole ed opere. La formula intera è mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa, e si pronuncia battendosi tre volte il petto. In senso figurato il mea culpa viene usato per sottolineare rassegnazione di fronte alle conseguenze di un proprio errore: non mi resta che dire il mea culpa.
Medice, cura te ipsum. (Luca, IV, 23)
Medico, cura te stesso. - Proverbio che Gesù immagina possa essergli ricordato dagli abitanti di Nazaret quasi a esortarlo a compiere, nella sua patria, quei miracoli che si diceva avesse fatto a Cafarnao; ma Gesù replica all'obiezione: nemo propheta acceptus est in patria sua, nessun profeta è gradito nella sua patria. Oggi la frase si adopera con invito a considerare e curare i propri difetti prima che quelli degli altri.
Melius est abundare quam deficere.
E' meglio abbondare che scarseggiare. - Massima suggerita dalla sapienza popolare, che tuttavia va presa con cautela. Essa va ripetuta frequentemente nel linguaggio corrente (anche nella forma ellittica melius abundare), e applicata a casi concreti in cui si ritiene più conveniente peccare per eccesso che per difetto.
Memento audere semper.
Ricordati di osare sempre. - Motto creato da Gabriele D'Annunzio per decifrare l' acronimo M.A.S. dei motoscafi armati per la caccia ai sommergibili.
Memento mori.
Ricordati che devi morire. - Saluto che i frati trappisti si scambiano ogni volta che s'incontrano nelle loro celle. La frase latina si rifà alle parole del Genesi (III, 19) ricordati, uomo, che sei polvere, e in polvere ritornerai.
Meminisse iuvabit. (Virgilio, Aen., I, 203).
Gioverà ricordarsene. - Parole tratte dal noto verso virgiliano forsan et haec olim meminisse iuvabit, forse anche queste cose un giorno ci piacerà ricordare. Nel linguaggio corrente la frase latina è usata come previsione che un giorno sarà piacevole, oppure utile, opportuno, ricordare gli avvenimenti attuali.
Mens sana in corpore sano. (Giovenale, Sat. X, 356).
Mente sana in corpo sano. - Nota sentenza, tratta da un verso di Giovenale: Orandum est ut sit mens sana in corpore sano, bisogna chiedere (agli dèi) che la mente sia sana nel corpo sano. Per il mondo classico l'ideale della perfezione era un armonico equilibrio tra le facoltà dell'intelletto e quelle del corpo.
Miles gloriosus.
Il soldato millantatore. - E' il titolo di una commedia di Plauto. Il protagonista, Pirgopolinice, è convinto che nessuno lo superi nel conquistare città e femmine. Tiene soprattutto all'eleganza, all'apparenza. E' il lontano progenitore degli innumerevoli spacconi che incontriamo nella finzione letteraria e nella realtà della vita.
Minus habens.
Che ha meno. - Il minus habens è persona che ha meno intelligenza, considerata perciò meno dotata dalla natura. In senso più oggettivo, la locuzione latina viene usata talora per indicare chi abbia, di fatto, meno diritti di quelli riconosciuti alla generalità dei cittadini.
Mirabile dictu.
Mirabile a dirsi. - Locuzione latina usata per enfasi come inciso anche in contesti italiani, insieme con altre analoghe, come mirabile visu, mirabile auditu (mirabile a vedersi, a udirsi), a proposito di fatti, spettacoli, ecc. che destano grande meraviglia.
Mirabilia.
Cose meravigliose. - Parola frequente in contesti italiani, soprattutto in frasi di tono ironico o scherzoso: al suo ritorno da Parigi, raccontò mirabilia di ciò che aveva visto; rimedio contro la febbre, di cui il farmacista gli diceva mirabilia (Bacchelli); promettere mirabilia, fare promesse straordinarie.
Miserere.
Abbi pietà. - Il più noto dei salmi penitenziali (il cantico di David), così detto dalle parole con cui ha inizio nella versione latina Miserere mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam, Abbi pietà di me, Signore, per la tua grande misericordia. Con valore verbale, nel senso di "abbi pietà", per lo più come reminiscenza delle espressioni liturgiche, la parola è usata anche in contesti italiani: "Miserere di me" gridai a lui (Dante); Miserere del mio non degno affanno (Petrarca). Nel linguaggio comune, si usa oggi per chiedere scusa o prdono: miserere (o miserere di me, miserere mei), non lo farò più.
Modus vivendi.
Modo di vivere. - Accordo stabilito provvisoriamente fra due parti in contrasto e fatto di reciproche concessioni, per eliminare i motivi di attrito e permettere lo svolgimento di normali rapporti: cercare, trovare, raggiungere un modus vivendi. Nel diritto internazionale, accordo di carattere provvisorio, destinato a regolare una determinata categoria di rapporti fra due stati, in attesa che sia comcluso l'accordo definitivo.
More solito.
Secondo il solito costume. - La locuzione latina è usata anche in contesti italiani, soprattutto quando si vuol riprovare qualche biasimevole abitudine: è arrivato, more solito, con mezz'ora di ritardo.
More uxorio.
Secondo il costume matrimoniale. - Nel linguaggio giuridico, la locuzione latina è usata, per lo più, in unione al verbo vivere o convivere, con riferimento a due persone che, pur non essendo coniugate, convivono di fatto come marito e moglie.
Mors tua vita mea.
La tua morte è la mia vita. - Sentenza applicata a vari casi particolari per significare che il danno di una persona è spesso un vantaggio per un'altra. In senso lato, la frase latina allude alle dure leggi della vita e alla lotta per l'esistenza.
Motu proprio o motuproprio.
Per moto proprio, di propria iniziativa. - Atto o documento di una concessione emanata direttamente dal sovrano, dal capo dello stato, dal pontefice, senza che sia intervenuta la proposta o la richiesta di persone interessate: un motuproprio del papa, del re. Con significato più generico e nell'uso familiare, l'espressione è anche riferita all'agire di persona qualsiasi: l'ha fatto di motuproprio, spontaneamente, senza che altri l'obbligasse o lo pregasse.
Motus in fine velocior.
Il moto è più veloce verso la fine. - La frase è riferita probabilmente, nella tarda latinità, a un moto accelerato (inteso, nel contesto della fisica aristotelica, come moto con il quale un corpo elementare torna al suo luogo naturale). Nel linguaggio comune, la frase è usata talvolta per indicare l'intensificarsi di un'azione verso la sua fine.
Mutatis mutandis.
Mutate le cose che son da mutare. - Si usa quando si fa un confronto tra due fatti, due situazioni, per dire che, cambiati alcuni elementi, le cose restano praticamente immutate: mutatis mutandis, la situazione è la stessa.
Mutato nomine. (Orazio, Sat., I, I, vv. 69, 70).
Mutato il nome. - Espressione usata per significare che le stesse considerazioni possono applicarsi a cose, persone o situazioni diverse. Deriva dalla frase di Orazio: mutato nomine de te fabula narratur, cambiato il nome, di te parla la favola.
Naturam expelles furca. (Orazio, Epist., I, 10, 24).
Potrai scacciare la natura con la forca. - Inizio di un verso di Orazio che continua tamen usque recurret, tuttavia sempre ritorna. Frase divenuta proverbiale per significare che non si possono, o è difficile, sopprimere gli impulsi naturali. I malvagi ad esempio, nonostante ogni falsa apparenza, alla fine si svelano per quelli che sono.
Natura non facit saltus.(Linneo, Philos.botan., 27; Leibniz, Nuovi saggi, 4, 16).
La natura non fa salti. - Principio secondo cui ogni cosa in natura procede e si evolve per gradi e lente trasformazioni. Questo principio accreditò le teorie evoluzioniste.
Navigare necesse est.
Navigare è necessario. - La frase va completata con vivere non necesse, vivere non è necessario. Parole pronunciate da Pompeo davanti ai marinai che, spaventati da una tempesta, esitavano ad affrontare il mare per trasportare a Roma un carico di grano africano. Di fronte alla necessita che Roma aveva di grano, passava in second'ordine la stessa necessità di salvaguardare la propria vita. Navigare necesse est divenne il motto della Lega Anseatica, e più recentemente di altre organizzazioni marinare; Gabriele D'Annunzio ne ha fatto il simbolo dell'arditismo guerriero e nazionalistico.
Ne bis in idem.
Non due volte nel medesimo fatto. - Massima che enuncia un principio giuridico tendente ad evitare la duplicazione degli atti che mirano a un medesimo scopo o riguardano il medesimo caso. In senso generico, invito a non ripetersi, a non esprimere due volte un giudizio sullo stesso argomento, oppure a non cadere due volte nello stesso errore.
Nemo ad impossibilia tenetur.
Nessuno può essere costretto a cose impossibili. - Aforisma del diritto comune, che costituisce una delle principali regole del moderno diritto delle obbligazioni, per il quale fra i requisiti del cotratto vi deve essere quello della possibilità del suo oggetto. La frase viene spesso ripetuta con significato generico.
Nemo potest duobus dominis servire. (Matteo, VI, 24).
Nessuno può servire due padroni. - Dice ancora san Matteo: "perché odierà l'uno e amerà l'altro, o si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro". Il goldoniano Arlecchino, servo di due padroni, non è dello stesso parere, e con lui quegli italiani opportunisti che fanno il doppio gioco, schierandosi contemporaneamente con persone tra loro concorrenti o nemiche, che militano in due campi ideali opposti.
Nemo propheta in patria.
Nessuno è profeta nella sua patria. - Parole tratte dalla frase nemo propheta acceptus est in patria sua, nessun profeta è gradito nella sua patria, riferita dai Vangeli (Luca 4, 24; Matteo 13, 57; Marco 6, 4; Giovanni 4, 44) come pronunciata da Gesù in Nazareth per stigmatizzare la fredda accoglienza dei suoi conterranei. La frase è solitamente usata per significare che difficilmente si possono vedere riconosciuti i propri meriti nella terra in cui è nato e cresciuto e dove si sa ogni cosa di lui e della sua famiglia.
Ne sutor ultra crepidam.
Il calzolaio non vada oltre la scarpa. - Frase latina che riproduce la raccomandazione rivolta da Apelle a quel ciabattino che, avendo giustamente criticato un difetto nella raffigurazione dei sandali in un quadro dello stesso Apelle, voleva poi criticare anche il resto. La frase è divenuta comune per sottolineare, o rimproverare, l'inopportunità di parlare e giudicare di cose di cui non si ha alcuna competenza.
Nihil de principe parum de Deo.
Niente del principe poco di Dio. - Sentenza (nata forse in tempi di assolutismo) che raccomanda di evitare, nelle conversazioni, argomenti politici e religiosi che potrebbero dispiacere alle autorità costituite.
Nihil difficile volenti.
Nulla è difficile a chi vuole. - Motto latino con cui si vuole affermare che con la volontà si superano facilmente le difficoltà e si vincono gli ostacoli.
Nihil obstat quominus imprimatur.
Nulla osta a che si stampi. - Formula che viene impressa in principio o alla fine di libri, fogli, immagini editi con la prescritta licenza dell'autorità ecclesiastica. Nell'uso comune si usa semplicemente nihil obstat per significare che non esistono difficoltà al compimento di un'azione, allo svolgimento di un'attività, all'accoglimento di una richiesta.
Nulla di nuovo sotto il sole. - Frase biblica con cui si suole affermare l'eterno ripetersi degli eventi nella storia del mondo.
Nisi caste saltem caute.
Se non castamente, almeno cautamente. - Massima latina che consiglia una prudente segretezza nel compiere atti che violino il voto o il dovere della castità, quando non sia umanamente possibile evitarli.
Noli me tangere. (Giovanni, XX, 17).
Non mi toccare. - La frase evangelica prosegue: nondum enim ascendi ad Patrem meum, infatti non sono ancora salito al Padre mio, ed è rivolta da Gesù risorto a Maria Maddalena. Nel linguaggio comune, la frase si usa a proposito di persona suscettibile, ombrosa, che non ammette confidenze, oppure di donna che ostenta riservatezza, ritrosia.
Nolite iudicare ut non iudicemini. (Matteo, VII, 2).
Non giudicate, per non essere giudicati. - Parole di Gesù nel discorso della montagna. La frase è divenuta sentenza che raccomanda a non giudicare troppo severamente gli altri, per non essere, a nostra volta, giudicati con uguale severità.
Nomen omen.
Il nome è auspicio. - Gli antichi vedevano una stretta correlazione tra la cosa e la parola che la designava. Perciò imponevano ai figli nomi beneauguranti. La frase latina si ripete scherzosamente per persone la cui sorte sembra conforme al significato del nome.
Non expedit.
Non conviene. - Formula di dissuasione usata dalla Chiesa romana, circa la partecipazione dei cattolici italiani alle elezioni del 1874 e in genere alla vita politica dello stato postrisorgimentale.
Non in solo pane vivit homo. (Matteo, IV, 4).
Non di solo pane vive l'uomo. - E' questa la risposta che Gesù, affamato dopo quaranta giorni di digiuno, dà a Satana che lo tenta invitandolo a trasformare i sassi in pane. Il testo di Matteo prosegue: sed in omni verbo quod procedit de ore Dei, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. La frase si usa spesso, in senso più generico, per significare che l'uomo ha bisogno d'altre soddisfazioni che non siano quelle puramente materiali.
Non licet.
Non è lecito. - Espressione latina adoperata in contesti italiani per attenuare il tono di un divieto o, al contrario, per conferirgli maggiore solennità o perentorietà.
Non multa sed Multum. (Plinio il Giovane, Epist., VII, 9).
Non molte cose ma molto. - Massima latina tratta da una frase di Plinio il Giovane, che si usa come consiglio per un utile apprendimento: non bisogna mirare ad avere molte nozioni, bensì approfondire le conoscenze e la cultura.
Non olet. (Svetonio, De vita Caesarum, VIII, 23).
Non ha odore. - Parole che, secondo Svetonio, l'imperatore Vespasiano avrebbe detto al figlio Tito, che lo rimproverava per una tassa da lui imposta sugli orinatoi, mentre gli mostrava il denaro ricavatone. Sono divenute proverbiali per significare che non bisogna sottilizzare troppo circa la provenienza del denaro.
Non omnia possumus omnes. (Virgilio, Bucoliche, VIII, 63).
Non tutti possiamo tutto. - Sentenza virgiliana citata per significare che le facoltà umane sono limitate, e che ciò che riesce a uno può non riuscire ad un altro.
Non plus ultra.
Non più oltre. - La leggenda narra che Ercole, avendo tagliato l'istmo che univa l' Europa all'Africa e formato lo stretto di Gibilterra, scrisse non plus ultra sui monti Calpe ed Abila, stabilendo, con quelle che furono poi chiamate le Colonne d' Ercole, il confine del mondo che nessun navigatore doveva oltrepassare. Nel linguaggio comune l'espressione è usata per indicare il limite estremo che si può raggiungere.
Non possumus. (Atti degli Apostoli,IV, 20).
Non possiamo. - Espressione con cui gli apostoli Pietro e Giovanni risposero al sinedrio che avava ordinato loro di tacere sui miracoli di Gesù. Il testo completo è: non enim possumus quae vidimus et audivimus non loqui, non possiamo infatti non parlare di ciò che abbiamo visto e udito. La frase è passata poi nel linguaggio pontificio per indicare un rifiuto basato sull'osservanza di leggi divine o canoniche, e come tale fu usata da Pio IX nell'opporsi a ogni tentativo del governo italiano di entrare in Roma col consenso della Chiesa. E' tradizione che eguale risposta abbia dato Clemente VII a Enrico VIII d'Inghilterra, che chiedeva il divorzio da Caterina d'Aragona, per sposare Anna Bolena.
Non praevalebunt. (Matteo, XVI, 18).
Non prevarranno. - Parole di Gesù all'apostolo Pietro: tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam, et portae inferi non praevalebunt adversus eam, tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte dell'inferno non prevarrano contro di essa. L'espressione latina non praevalebunt è divenuta proverbiale nel linguaggio ecclesiastico per affermare che le forze del male non riusciranno a sopraffare la divina istituzione della Chiesa, e nel linguaggio comune per significare che i propri avversari non riusciranno a prevalere. Non scholae sed vitae discimus. (Seneca, Epist., 106, 11).
Non impariamo per la scuola ma per la vita. - Sentenza tratta da un passo di Seneca che lamenta il modo di insegnare dei suoi tempi. La frase si cita per affermare che nell'insegnamento si deve mirare alla formazione degli scolari più che al fine immediato delle necessità della scuola.
Nosce te ipsum.
Conosci te stesso. - Motto che scritto a lettere d'oro sul frontone del tempio di Apollo in Delfi, esortava gli uomini a riconoscere la propria condizione e limitatezza umana. Socrate ne fece la sua massima preferita, considerandola come un invito a considerare i limiti della conoscenza umana.
Nulla dies sine linea. (Plinio, Nat. hist., XXXV, 36)
Nessun giorno senza una linea. - Frase attribuita da Plinio al pittore greco Apelle, del quale si dice che non lasciava passare giorno senza che tracciasse almeno una linea, perché sosteneva che solo con l'esercizio costante si procede sulla via dell'arte. La frase si ripete per indicare la necessità dell'esercizio giornaliero.
Nunc est bibendum. (Orazio, Odi, I, 37).
Ora si deve bere. - Parole iniziali di una nota ode di Orazio, con le quali il poeta esprimeva l'esultanza per la morte di Cleopatra, nemica di Roma. Quando cadeva un nemico, gli antichi salutavano l'evento con impietosa e rumorosa letizia. La frase si ripete, con tono gioioso e scherzoso, come invito a festeggiare un lieto evento e a brindare con un buon bicchiere.
Nuntio vobis gaudium magnum.
Vi annuncio una grande gioia. - Frase tratta dalla formula con la quale si annuncia al popolo l'elezione del nuovo pontefice (vedere Habemus Papam). Si ripete talvolta nell'uso comune, scherzosamente, per indicare l'annuncio di una buona notizia.