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Obtorto collo.
Con il collo storto. - Espressione presente in alcuni autori latini, e usata anche in contesti italiani con il significato di malvolentieri, contro voglia: ho dovuto obtorto collo accettare la decisione della commissione medica.
Odi profanum vulgus et arceo. (Orazio, Odi, III, 1).
Odio il volgo profano e lo respingo. - Celebre verso di Orazio per esprimere atteggiamento di sprezzante orgoglio intellettuale, comune a molti poeti, di fronte alle opinioni e alle manifestazioni del volgo, indegno di accedere al tempio dell'arte.
Omne trinum est perfectum.
Ogni complesso di tre è cosa perfetta. - Gli antichi vedevano nel numero tre il simbolo della perfezione. Tre sono le Parche, le Furie, le Grazie; il Cristianesimo adora la Trinità, nelle persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; Dante sul numero tre e suoi multipli costruì la Divina Commedia. Il Digesto prescrive tres faciunt collegium: occorre un minimo di tre persone per formare una società giuridicamente costituita.
Omnia mea mecum porto.
Porto con me tutte le mie cose. - Frase attribuita a diversi filosofi (soprattutto cinici e scettici) o scrittori greci, tra cui Biante di Priene, uno dei sette sapienti. In senso figurato, è usata anche oggi per affermare la superiorità delle doti dello spirito sul possesso dei beni materiali.
Omnia munda mundis. (s. Paolo, Lettera a Tito, I, 15).
Tutte le cose sono pure per i puri. - E' una frase di san Paolo nella Lettera a Tito, un pagano da lui convertito, per affermare che tutto è puro per chi opera con retta coscienza. La frase paolina è citata da Padre Cristoforo al sacrestano fra Fazio (Promessi Sposi, cap. VIII), quando questi si scandalizza perché di notte si accoglievano nel convento due donne (Agnese e Lucia), sia pure per proteggerle da Don Rodrigo.
Omnia vincit amor. (Virgilio, Bucoliche, X, 69).
L'amore vince tutto. - Il verso virgiliano prosegue: et nos cedamus amori, e noi cediamo all'amore. E' divenuto proverbiale già in epoca antica ed esalta l'ineluttabile potenza dell'amore, che non si arrende davanti a nessun ostacolo.
Oportet ut scandala eveniant. (Matteo, XVIII, 7).
E' necessario che avvengano gli scandali. - Sono le parole di san Matteo, il quale subito aggiunge: "Ma guai all'uomo per colpa del quale lo scandalo avviene".
Ora et labora.
Prega e lavora. - Motto con cui la tradizione benedettina sintetizza lo spirito delle prescrizioni del lavoro e della preghiera rivolte da san Benedetto da Norcia ai suoi monaci. Il motto benedettino è passato poi a caratterizzare tutto il monachesimo occidentale, in contrapposizione al monachesimo orientale, essenzialmente contemplativo.
O tempora o mores!.
O tempi, o costumi!. - Seneca il Retore (Suasoriae VI, 3) commentando la corruzione dei costumi chiama in aiuto Cicerone con queste parole: "Tuis verbis, Cicero, utendum est: o tempora! o more!, dobbiamo usare le tue parole, o Cicerone: o tempi! o costumi!. Cicerone, infatti, deplora spesso la corruzione che si è diffusa anche tra i politici e rimpiange il passato proprio con questa esclamazione: o tempora, o mores! che si ripete in varie orazioni. Oggi l'esclamazione ciceroniana è spesso usata in tono scherzoso o bonariamente polemico.
Oves et boves.
Pecore e buoi. - Locuzione latina che indica, in tono tra scherzoso e polemico, un raggruppamento eterogeneo di persone, per lo più prive di meriti e di qualità. In stato di necessità, è giocoforza mescolare oves et boves, cui corrisponde la più popolare espressione cani e porci.
Panem et circenses. (Giovenale, Satire X, 81).
Pane e giochi del circo. - Sono parole di Giovenale che si lamenta come questo fosse, ai suoi tempi, l'unico desiderio del popolino. Tredici secoli più tardi Lorenzo il Magnifico sosteneva: Pane e feste tengon il popol quieto. Nel regno delle Due Sicilie, per raggiungere lo stesso scopo, la politica dei Borboni aveva come fondamento le tre F: feste, farina, forca.
Parcere subiectis et debellare superbos. (Virgilio, Aen. VI, 853).
Risparmiare i vinti e debellare i superbi. - Celebre verso di Virgilio in cui il poeta ha voluto esprimere il criterio ispiratore della politica imperiale dei Romani.
Parce sepulto. (Virgilio, Aen. III, 41).
Perdona a chi è sepolto. - E' la voce che lo spirito di Polidoro, il più giovane dei figli di Priamo, rivolge ad Enea. Oggi con parce sepulto intendiamo che è ingeneroso avere risentimento per i torti subiti da chi non è più, e talora, in senso estensivo, usiamo l'espressione con riferimento a chi è stato già punito dalla sorte o non ha più capacità di nuocere.
Parva sed apta mihi.
Piccola, ma adatta a me. - Verso che Ludovico Ariosto fece scrivere sopra l'ingresso della casa fattasi costruire a Ferrara, e che continua: sed nulli obnoxia, sed non Sordida, parta meo sed tamen aere domus, ma non soggetta ad alcuno, ma non squallida, ma acquistata col mio denaro. Il verso iniziale viene talora usato, con lo stesso significato, in riferimento alla propria abitazione, o con significati analoghi.
Pater familias.
Padre di famiglia. - Nella famiglia romana indicava colui che, non avendo più ascendenti vivi in linea maschile, era il capo della famiglia, acquistando un complesso di poteri sulla moglie, sui figli e sui servi, che si riassumevano nel termine giuridico di manus o potestas (potestà), intendendosi con potestà un concetto assai vicino a proprietà. Col passar del tempo, queste tiranniche prerogative del pater familias vennero temperate dal costume e dalla giurisprudenza.
Pax et bonum.
Pace e bene. - Formula di saluto caratteristica della predicazione di san Francesco e dei suoi seguaci. Si vede scritta spesso sulle porte o sulle pareti dei conventi francescani. Viene usata (tradotta o no) come saluto e augurio tra religiosi o fedeli.
Pax tibi.
Pace a te. - Nello stemma di Venezia il leone di san Marco pone una zampa sopra un libro dove sta scritto Pax tibi Marce evangelista meus, pace a te, Marco, mio evangelista. Parole queste che, secondo una leggenda, un angelo apparso in sogno a san Marco, approdato in un'isola della laguna veneta, avrebbe pronunciato quasi ad annunciargli che lì, in quelle terre, il suo corpo dopo la morte avrebbe trovato riposo.
Per angusta ad augusta.
Per vie anguste ad auguste cose. - Motto gentilizio di Ernesto di Brandeburgo, menzionato da Victor Hugo nel IV atto dell'Ernani come parola d'ordine dei congiurati contro Carlo V. L'espressione è usata nell'uso comune (anche nella forma ad augusta per angusta) per significare che i grandi risultati si ottengono solo superando difficoltà d'ogni genere.
Per aspera ad astra.
Alle stelle attraverso le asperità. - Frase con cui si suole significare che senza sacrifici non si raggiungono traguardi ambiziosi. Il motto riecheggia frasi della tradizione letteraria (cfr. Virgilio, Aen., IX, 641: Sic itur ad astra, così si giunge all'immortalità; Seneca, Herc. furens., 441: Non est ad astra mollis e terra via, la via per giungere dalla terra agli astri non è facile).
Perinde ac cadaver.
Alla stregua di un cadavere. - Con questa locuzione, prima san Francesco e poi i gesuiti sintetizzarono la sottomissione assoluta alla regola e alla volontà dei superiori, con rinuncia alla propria personalità.
Pluralis maiestatis.
Plurale di maestà. - Negli atti ufficiali re e pontefici usano la prima persona plurale del pronome (noi) e delle forme verbali e nominali che con essa concordano. Per estensione, la prima persona plurale del pronome viene usata anche da personaggi d'alto rango o investiti di cariche particolarmente importanti.
Pollice verso.
Col pollice all'ingiù. - Era il segnale di morte, decretata dall'imperatore e dal pubblico quando nel circo un gladiatore ferito finiva a terra, e l'avversario domandava agli spettatori se doveva risparmiarlo o dargli il colpo di grazia. L'espressione, accompagnata o no dal gesto, è usata in contesti italiani per significare condanna, disapprovazione, rifiuto e simili.
Post factum lauda.
Loda dopo il fatto. - Motto latino usato per significare che, prima di lodare, bisogna aspettare che un fatto, un lavoro sia compiuto e se ne vedano gli effetti.
Post factum nullum consilium.
Dopo il fatto nessun consiglio. - Motto latino usato per significare che, quando un fatto è avvenuto, non v'è più rimedio e non serve discuterne.
Post fata resurgam.
Risorgerò dopo la morte. - Motto dell'araba fenice, mitico uccello sacro agli antichi Egiziani. Secondo una leggenda, ogni cinquecento anni essa volava dall'Arabia, sua terra natale, a Eliopoli; secondo altri , giunta alla vecchiaia, si dava fuoco su una pira di legni aromatici, per poi risorgere dalle ceneri. Il motto si usa per esprimere fiducia nella propria capacità di risollevarsi dalle disavventure e di vincere le avversità del destino.
Post hoc ergo propter hoc.
Dopo questo, quindi a causa di questo. - Argomentazione fallace degli scolastici secondo cui c'è un rapporto di causalità tra due avvenimenti per il solo fatto che l'uno è posteriore all'altro; ma non bisogna confondere il rapporto di precedenza, di tempo, col rapporto di causalità.
Post mortem.
dopo la morte. - Locuzione latina usata soprattutto con riferimento al riconoscimento di meriti, a commemorazioni, busti, targhe stradali, che non hanno avuto luogo durante la vita della persona interessata: onorificenza post mortem.
Primum vivere deinde philosophari.
Prima vivere, poi fare della filosofia. - Frase usata come richiamo a una maggiore concretezza e a una maggiore aderenza agli aspetti pratici della vita. Viene tradizionalmente attribuita al filosofo inglese Thomas Hobbes (1588-1679), ma probabilmente è molto più antica.
Primus inter pares.
Primo tra uguali. - Locuzione usata con riferimento a chi, tra persone di pari grado o dignità o posizione gerarchica, è considerato il capo per la funzione che esercita o per altri motivi di preminenza.
Pro aris et focis. (Cicerone, De natura deorum III, 40 e altrove).
In difesa degli altari e dei focolari. - Antico grido con cui si animavano i cittadini alla difesa. Cicerone riporta questo motto nel senso che ogni cittadino deve operare per la patria e per la famiglia.
Pro bono pacis.
Per il bene della pace. - Locuzione latina che equivale all'italiana per amor di pace. Si usa spesso con rferimento a concessioni fatte per evitare contrasti, per non turbare il buon accordo o la tranquillità.
Procul negotiis. (Orazio, Epodi II, 1).
Lontano dagli affari. - Beatus ille qui procul negotiis/Ut prisca gens mortalium, Beato colui che è lontano dagli affari, come i primi padri degli uomini. Sono le parole di Orazio che vengono talvolta citate (nella forma abbreviata procul negotiis), per alludere a un periodo di tempo, o a una vita intera, trascorsi in riposante tranquillità, lontano dalle preoccupazioni quotidiane del lavoro.
Pro domo sua.
Per la propria casa. - Titolo di un'orazione di Cicerone che viene ripetuta spesso (per lo più nella forma Cicero pro domo sua) con riferimento a chi parla o agisce in proprio favore, per il proprio tornaconto.
Pro forma.
Per la forma. - Locuzione latina, frequente anche nel linguaggio comune, per significare una cosa fatta per pura formalità, per salvare le apparenze, per obbedire a una ritualità che non ha alcun riscontro nella sostanza: gli hanno fatto un' ispezione pro forma.
Pro indiviso.
Per non diviso. - Locuzione latina del linguaggio giuridico, usata nell'espressione communio pro indiviso, per indicare la comunione di beni (riferita specialmente all'asse ereditario) tra più comproprietari, ciascuno dei quali possiede idealmente una quota.
Promoveatur ut amoveatur.
Sia promosso affinché sia rimosso. - Motto latino con cui si allude a promozione o avanzamento di grado concessi con lo scopo di rimuovere una persona da una carica o da un luogo dove essa eserciti un'azione o un'influenza, specialmente politica, che ai suoi superiori non sia gradita, o per allontanare un impiegato, un funzionario da un posto al quale si sia dimostrato inetto, nei casi in cui non si voglia o non si possa agire diversamente.
Pro quota.
Per la quota. - L'espressione completa è pro quota parte che significa genericamente per la parte a ciascuno spettante, ed è usata per indicare, nel linguaggio economico e finanziario, un sistema di ripartizione di capitali, redditi, diritti e obbligazioni, in parti proporzionali alle quote concorrenti alla loro formazione. In diritto ereditario, l'espressione sta a significare la divisione di beni tra i congiunti aventi diritto per legge, nella misura spettante a ciascuno in base al grado di parentela.
Pro tempore.
Per un certo tempo. - L'espressione è usata per indicare che un incarico, una concessione, una funzione sono dati soltanto per un determinato periodo, temporaneamente: affidare, esercitare pro tempore una funzione, una carica; anche con uso aggetivale: presidente pro tempore della commissione edilizia.
Pulsate et aperietur vobis. (Matteo VII, 7; Luca XI, 9)
Bussate e vi sarà aperto. - Frase di un più ampio contesto: petite et dabitur vobis; quaerite et invenietis; pulsate et aperietur vobis, chiedete, e vi sarà dato; cercate, e troverete; bussate, e vi sarà aperto. Con queste tre espressioni diverse, Gesù nel Discorso della montagna vuole affermare il concetto che ogni preghiera è sempre esaudita dalla infinita bontà di Dio. La terza espressione è talvolta ripetuta in senso estensivo, come esortazione a insistere nel chiedere ciò di cui si ha bisogno.
Pulvis es et in pulverem reverteris. (Genesi, III, 19).
Polvere sei e in polvere ritornerai. - Recitando questo versetto del Genesi, nel giorno delle Ceneri, il sacerdote segna, con un pizzico di cenere, la fronte dei fedeli. Anche il pagano Orazio nelle Odi (IV, 7) è della stessa opinione e dice: pulvis et umbra sumus, siamo polvere e ombra (vedi Memento mori).
Quaerite et invenietis. (Matteo VII, 7; Luca XI, 9).
Cercate e troverete. - Frase centrale di un noto versetto evangelico che, presa dal suo contesto generale, è spesso ripetuta come esortazione a impegnarsi con tenacia e fiducia nella ricerca della verità, sia sul piano religioso sia su quello scientifico e del sapere in genere.
Qualis artifex pereo!.
Quale artista muore con me!. - Celebre frase che secondo Svetonio (Vita di Nerone, 69), l'imperatore Nerone avrebbe pronunciato morendo.
Qualis pater talis filius.
Quale il padre, tale il figlio. - Antica sentenza popolare (tramandata anche nella versione talis pater, talis filius) con la quale si suole affermare che pregi e difetti si trasmettono per via ereditaria, ma anche per l'influenza che ha sui figli l'esempio paterno.
Quandoque bonus dormitat Homerus. (Orazio, Ars poet., 358-59).
Talora sonnecchia il buon Omero. - Espressione con cui Orazio rileva come sia sciocco mostrarsi insofferenti dei difetti dell'opera di grandi artisti. La frase oraziana è spesso citata per significare che anche i sommi artisti hanno qualche caduta di tono, di stile, e non sempre riescono ad essere all'altezza della propria fama.
Quantum mutatus ab illo...!. (Vitgilio, Aen. II, 274).
Quanto mutato da quello...!. - Parole di Enea nel descrivere la visione di Ettore che gli appare in sogno lordo e sanguinante; il passo infatti continua: Hectore qui redit exuvias indutus Achilli, da quell'Ettore che torna indossando l'armatura di Achille. La frase si riporta talvolta per indicare mutamenti profondi, anche di natura morale.
Quieta non movere.
Non muovere le cose quiete. - Motto latino che si cita con vario senso e tono. Noi abbiamo i proverbi: non agitare le acque; non stuzzicare il can che dorme, e simili.
Qui non est mecum, contra me est. (Matteo XII, 30; Luca XI, 23).
Chi non è con me, è contro di me. - Frase evangelica pronunciata da Gesù per invitare a prendere una decisione precisa. Viene spesso ripetuta, nella forma latina o in quella italiana, sia con senso generico e in tono scherzoso, sia nella forma del plurale chi non è con noi è contro di noi.
Qui pro quo (o quiproquo).
Il che per il come. - Locuzione usata per significare equivoco o malinteso relativo a parole, cose, persone: è stato un banale qui pro quo; per un qui pro quo ho sbagliato il luogo e il giorno dell'appuntamento. L'espressione deriva forse dal latino quid pro quo, titolo di alcune compilazioni farmaceutiche del medioevo comprendenti i medicamenti che si potevano somministrare in luogo di altri.
Quis custodiet custodes?.
Chi custodirà i custodi?.- Frase divenuta proverbiale e derivata dal passo delle Satire (VI, 48-49) di Giovenale sed quis custodiet ipsos custodes?, ma chi custodirà i custodi stessi? Ma già molto prima, Platone nella Repubblica (III, 13) dice che i custodi dello Stato devono guardarsi dal vizio dell'ubriachezza, perché "sarebbe certo ridicolo se il custode avesse bisogno d'un custode". Oggi l'espressione latina è ripetura, seriamente o scherzosamente, per esprimere sfiducia sulla capacità o sull'onestà di chi ha compiti di custodia o sorveglianza.
Quod avertat Deus!.
Il che non permetta Dio!. - Formula latina di scongiuro ripetuta in contesti italiani, della lingua scritta o parlata, come inciso e con valore affine all'italiano Dio ce ne scampi e liberi.
Quod licet Iovi non licet bovi.
Ciò che è lecito a Giove non è lecito al bove. - Motto latino che si usa citare per significare che ciò che è concesso a chi ha particolari gradi, requisiti o capacità può non essere concesso a chi non ha tali requisiti.
Quod non fecerunt Barbari fecerunt Barbarini.
Ciò che non fecero i barbari, fecero i Barberini. - Frase scritta sulla statua romana di Pasquino contro il papa Urbano VIII (Maffeo Barberini), che durante il suo pontificato (1623-1644) spogliò il Pantheon dei suoi bronzi per farne cannoni e costruire il baldacchino di San Pietro. La frase viene spesso citata con riferimento ad atti vandalici.
Quod scripsi scripsi. (Giovanni XIX, 22).
Ciò che ho scritto ho scritto. - Risposta di Pilato ai sacerdoti che gli chiedevano di togliere dalla croce di Gesù l'iscrizione offensiva alla Giudea. E l'iscrizione rimase. La frase è divenuta proverbiale per esprimere la propria decisa intenzione di non recedere da quanto si è scritto o anche detto; ma in quest'ultimo caso, la frase va corretta in quod dixi, dixi, ciò che ho detto ho detto.
Quot capita tot sententiae.
Quante le teste tanti i pareri. - Antico proverbio latino che si trova in Terenzio e in Cicerone e si cita per affermare che, tra gli uomini, le opinioni e i gusti sono diversi, ed è difficile che in una comunità tutti la pensino allo stesso modo.
Quousque tandem. (Cicerone I^ Catilinaria).
Fino a quando. - A queste due parole iniziali si può aggiungere Catilina abutere patientia nostra?, fino a quando, o Catilina, abuserai della nostra pazienza? E' la famosa invettiva di Cicerone contro il nobile decaduto che si era schierato dalla parte popolare per tentare, con una congiura, la conquista dello Stato. Le prime due parole (o la frase intera) si citano talora, nel linguaggio odierno, per avvertire che è stato superato ogni limite di pazienza e di sopportazione.